LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE PROBABILMENTE"

creata il 26 marzo 2008 aggiornata il 18 giugno 2011

 

 

Vieni da "Forme di sapere" o da "Galilei"

Sei in "A proposito di probabilità"

... mais maintenant ce hasard qui était rebelle à l'expérimentation n'a pu échapper à l'empire de la raison. Car nous l'avons reduit en art par le moyen de la géometrie si sûrement que, rendu participant à la certitude de celle ci, cet art progresse désormais avec audace; et en joignant ainsi les démonstrations des mathématiques à l'incertitude du hasard, et en conciliant ce qui paraît contraire, prenant sa dénomination des deux, il s'arroge à bon droit ce titre stupéfiant: Géométrie du hasard. Blaise Pascal, A la très illustre Académie parisienne, Paris 1654.

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La cultura prescientifica non poteva accedere al calcolo delle probabilità perché era pesantemente eziologica e concepiva il sapere “ortodosso” esclusivamente come conoscenza certa delle cause, l'aristotelico scire per causas. Dove c'è certezza, per esempio in logica, non c'è spazio per considerazioni probabilistiche. L'antico e sempre rinnovato logocentrismo, mentre corrobora l'eziologismo o logica delle cause, esclude a priori la probabilità. La "logica dell'incerto", come appropriatamente definisce il calcolo delle probabilità Bruno de Finetti, deve aspettare l'indebolimento eziologico operato dalla scienza galileiana per potersi affermare. Storicamente, la nozione probabilità risponde a due esigenze intellettuali della nuova cultura scientifica. Da una parte viene a coprire il buco lasciato nel discorso erudito dalla ritirata della causa e dall'altra prepara gli strumenti per affrontare la "variabilità spontanea" dei fenomeni, dapprima la variabilità degli esiti dei giochi d'azzardo, in seguito la variabilità dei fenomeni naturali: dai fotoni quantistici alle specie biologiche.

Per entrare nella moderna epistemologia è essenziale cogliere la differenza tra scienza e conoscenza. Scienza e conoscenza sono procedure epistemiche basate su schematismi gnoseologici radicalmente differenti. Lo schematismo cognitivo è deterministico (anche e soprattutto quando tiene un discorso "qualitativo" sulle essenze). Lo schematismo scientifico è indeterministico (e tuttavia è meccanicistico, cioè basato su simmetrie). Mi spiego.

La scienza non è conoscenza completa. Non tratta, infatti, le cause degli eventi ma considera fenomeni “spontanei” e imprevedibili: i moti inerziali ai tempi di Galilei, le ricombinazioni genetiche ai tempi di Mendel, la variabilità dei fringuelli delle Galapagos ai tempi del viaggio di Darwin intorno al mondo, la radioattività ai tempi dei Curie, ecc. C’è una singolare coincidenza, che mi piace segnalare, un dettaglio infinitesimo di storia della scienza, probabilmente senza causa ma non casuale. Chi inventa il moto inerziale (o senza causa motrice) sa anche risolvere un problema di dadi, che oggi non costituirebbe un problema per nessuna matricola di facoltà scientifica, ma che all'epoca non era banale.

Ecco il problema. Con tre dadi si può fare 10 in sei modi: 136, 145, 226, 235, 244, 334. Anche il 12 si può fare in sei modi: 156, 246, 255, 336, 345, 444. Eppure, lanciando i tre dadi il 10 esce più frequentemente del 12, con una differenza di un punto percentuale. Perché?

Si chiamava Galilei chi nel 1612 seppe risolvere il rompicapo senza scomodare le ragioni sufficienti. Ai tempi fu una bella performance del matematico del Granduca di Toscana. Il quale seppe trovare le simmetrie giuste nell'universo dei 6x6x6 = 216 "omeghini", ossia gli elementi che costituiscono "Omega", l'universo di probabilità degli eventi elementari, formati dal lancio di tre di dadi. Pesò gli omeghini favorevoli al 10 e quelli favorevoli al 12 e vide che i primi pesavano più dei secondi. Risolse il problema in modo meccanico. Attraverso una bilancia ideale (che è una leva archimedea, cioè uno strumento per rilevare simmetrie) mise su un piatto il 10 e sull'altro il 12, e constatò che il 10 pesava più del 12.

Il testo originale con il commento del prof. Barra si trova in

Considerazioni di Galileo Galilei sui tre dadi.

(Galilei non disponeva di fogli di calcolo Excel. Nel primo foglio generiamo tutte le triple - o "triplicità" - ordinandole in modo lessicografico con un semplice algoritmo "copia e incolla" e calcolando il punteggio per ognuna di esse. Nel secondo foglio ordiniamo le triple in ordine crescente di punteggio... e il gioco è fatto).

A parte la soluzione del rompicapo, Galilei ottenne un risultato ben più profondo. Dimostrò per primo che il calcolo delle probabilità è meccanicistico, anche se non è deterministico. Tratta eventi che non hanno cause – le "scoperte" dei dadi – ma ciononostante rispettano certe simmetrie. Nell'analizzare il gioco Galilei si basò su simmetrie del tipo di quelle che vigono in una leva, anche se erano simmetrie non deterministiche. Tuttora le medie statistiche o probabilistiche sono chiamate indifferentemente "valori attesi" (expectations) o "baricentri" di una distribuzione, per dire che esiste una meccanica dell'epistemologia soggettiva dell'incertezza. Ricordo che il baricentro è un centro di simmetria per una data distribuzione di pesi: è il loro punto di equilibrio gravitazionale. (L'appendice ai Discorsi intorno a due nuove scienze è dedicata da Galilei al calcolo di certi baricentri). Oggi è un dato acquisito che l'analisi galileiana del gioco dei tre dadi anticipi il teorema centrale del limite, secondo cui la distribuzione della media di un certo numero di variabili aleatorie tende a conformarsi alla distribuzione gaussiana. Già la distribuzione dei punteggi dei tre dadi mostra una forma a campana.

Dopo Galilei il discorso dell’assenza della causa fu sviluppato sul versante soggettivo da Cartesio. (Sul versante oggettivo ci pensarono Pascal e Fermat, operando su semplici modelli di giochi d'azzardo). Si chiama dubbio l'effetto soggettivo dell'assenza di causa. Il dubbio cartesiano non fu né sistematico né accademico, come poteva essere il dubbio scettico o analoghi divertimenti pirroniani. Il dubbio cartesiano, che ancora oggi i filosofi ontologici faticano a comprendere, fu la semplice conseguenza, forse inattesa, del nuovo assetto epistemico della modernità. Conseguì all’indebolimento eziologico, tipico della scienza moderna.

Nella scienza moderna la causa viene destituita dal ruolo di promotrice ("causa efficiente") del sapere. Il sapere scientifico moderno nasce dal dubbio, conseguente alla decadenza del principio di ragion sufficiente, e si acquisisce per vie diverse da quelle eziologiche, per esempio per vie probabilistiche.

In breve, tolta la causa, la conoscenza diventa incerta. La conoscenza incerta si chiama scienza. La scienza ha con la certezza un rapporto diverso da quello della conoscenza prescientifica. La scienza non presuppone la possibilità di determinare la verità senza ombra di dubbio, magari garantita dall'autorità del principio di ragion sufficiente. La scienza moderna non è deterministica anche quando è meccanicistica. Suppone, invece, che grazie al calcolo si possa ottenere una certezza solo statistica, cioè con un margine di errore ineliminabile, benché calcolabile e, in certi casi favorevoli, riducibile a piacere (ma mai a zero!). Non è poco. Ce n'è abbastanza per falsificare le premesse lacaniane secondo cui la scienza fuorcluderebbe la verità, e quindi il soggetto. Il soggetto della modernità esiste nella scienza. E' un soggetto che sa operare con l'incertezza, per esempio (è il caso più banale ma ancora istruttivo), calcolando la deviazione standard dalla media. Operazione certamente più delicata, ma dello stesso genere, è l'acquisizione da parte del soggetto della scienza del sapere inconscio attraverso le regole del "calcolo sovradeterministico" (sic) freudiano, basato sulla condensazione e sullo spostamento dei significanti. (Un calcolo per molti versi simile al calcolo delle sovrapposizioni quantistiche degli stati di spin di un elettrone).

La difficoltà ad accettare il calcolo delle probabilità si estende, tuttavia, anche in epoca scientifica nella querelle tra frequentisti e soggettivisti. La probabilità è anche la frequenza di un evento, come vogliono i frequentisti. La probabilità è anche la ragione di scommessa, come pretendono i soggettivisti. Ma non solo. Soprattutto la probabilità è la misura – attesa o confermata, a priori o a posteriori, per esempio, attraverso la formula di Bayes – della spontaneità di fenomeni senza cause. In fondo, la probabilità esclude, non solo indebolisce, la nozione di causa ontologica. Non c’è alcuna causa in azione nel risultato del lancio di una moneta o nella diffrazione di un elettrone o nella mutazione di un gene. C'è solo la probabilità che questi fenomeni avvengano spontaneamente in un certo modo. La scienza congetturale (non eziologica) comincia così in assenza di principi categorici (categorical) di ragion sufficiente, che reggano il determinismo (alla Laplace, per esempio).

Attenzione, però! Nell'immaginario popolare l'assenza di ragioni sufficienti avvicina l'attività scientifica alla follia, intesa semplicisticamente come assenza di ragione. Tu che mi leggi devi conoscere il rischio che corri. Aderendo a un programma di scientifizzazione della psicanalisi, sospendendo per esempio l'eziologia pulsionale (la causa freudiana), rischi di passare per matto (o, ben che ti vada, di restare senza pazienti, se fai una professione "psi").

Comunque, chi sia interessato ad ampliare il discorso qui abbozzato può consultare il saggio

Causa, Uno, Tempo,

rielaborazione di un mio intervento - di scarso successo - al convegno del 1991, tenuto a Roma con il titolo Lacan in Italia. (Gli atti completi del convegno non furono mai pubblicati per dissidi interni tra "scuole" lacaniane.)

*

Particolare biografico, che a 40 anni di distanza assume un certo interesse. Dopo la laurea in medicina tu finisci nell’istituto di Biometria e Statistica medica dell’Università di Milano, dove soggiorni per sei anni, fallendo la carriera universitaria, ma imparando a maneggiare il calcolo delle probabilità. È stato il tuo modo di scrollarti di dosso la mentalità eziologica, imposta da sei anni di aridi studi di medicina, e di prepararti alla psicanalisi. Forse non ti interessava la carriera universitaria, ma dimenticare la medicina, sì.

Dimenticare la medicina è la condizione necessaria per diventare analisti.

Curiosamente, dimenticare la medicina è più facile per un medico che per un non medico. I miei colleghi non medici sono più di me legati alle pretese terapeutiche della psicanalisi, centrate attorno al programma psicoterapico. Perché mai? Perché più di me resistono alla conversione della psicanalisi in scienza? Chi ha idee sulla risposta può scrivere a info@sciacchitano.it.

Butto lì un'esca per la discussione.

La decadenza della causa prefigura a livello epistemico l'evento ontologico fondamentale della modernità: la morte di dio. Oggi non c'è più un dio che è causa di tutto. Anche il dio di Spinoza, che era causa sui, è svanito insieme alla sua causa. Il disegno intelligente di cui favoleggiano i teologi o è un delirio o è un sogno. O forse non è né l'uno né l'altro, ma è il residuo di una cultura prescientifica, pesantemente connotata in senso antropomorfo – vorrei dire umanistico – che non può fare a meno di pensare che dentro l'uomo ci sia un omuncolo, dietro al creato un creatore e davanti alla creazione un fine ultimo di perfezione, cui è destinata. Secondo Lacan, che di cause se ne intendeva, il primo pensiero è di tipo magico, in quanto presuppone la causa efficiente, il secondo di tipo escatologico, in quanto presuppone la causa finale. (Cfr. J. Lacan, La science et la vèrité, in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, pp. 871-872). Con queste forme di pensiero eziologico la scienza ha chiuso, almeno in teoria, una volta per tutte. Ovviamente non concordo con l'attribuzione lacaniana della scienza all'ambito della causa formale. (Cfr. Ivi, p. 875.) Il minimo che si possa dire è che l'analisi di Lacan è prescientifica - aristotelica in versione schopenhaueriana.

E vengo agli psicanalisti. Domanda ad personas: gli psicanalisti non avrebbero ancora del tutto smaltito il lutto per la morte del padre? Sarebbero ancora troppo depressi – contro il padre, ovviamente – per imboccare la strada scientifica del discorso senza causa?

Il mio contributo a questa discussione è un pensiero non ancora pensato bene, che non si giustifica neppure probabilisticamente. E' qualcosa che viene ancora prima della congettura. Dico solo che se Nietzsche le ha pensate insieme, a pochi anni di distanza – la morte di dio e l'eterna ripetizione dell'identico – forse i due pensieri hanno una matrice in comune.

In altri termini, sospetto che vi sia una connessione tra la morte di dio e l'eterna ripetizione dell'identico, cioè tra l'indebolimento epistemico della causa e la manifestazione "patologica" dell'essere: la ripetizione. Dico "patologico" su base biologica, perché la fisiologia mostra "la ripetizione del diverso". La vita biologica è variabile. Darwin insegna. Quando qualcosa si irrigidisce nella ripetizione sempre uguale, siamo alle soglie della morte biologica. Giustamente Freud, che era un biologo, ascrive la coazione a ripetere alla pulsione di morte (che pure è un concetto di fantabiologia).

Un esempio terra terra. Il cuore batte con una frequenza che varia irregolarmente dentro un intervallo normale. Quando la frequenza si fissa su un certo valore "troppo" costante, è segno di deficienza cardiaca incipiente. Lo dico in modo prescientifico e antropomorfo. La variabilità di risposta biologica "serve" all'organismo per sopravvivere in un ambiente che varia. Se la risposta non varia più, l'organismo non si adatta più all'ambiente variabile e perisce.

Un altro esempio. Il virus HIV, continuando a variare all'interno dell'organismo parassitato, esaurisce la variabilità di risposta immunitaria dell'organismo, che muore per infezioni intercorrenti cui non sa far fronte. Dal punto di vista scientifico non c'è nessuna pulsione di morte, ma c'è l'annuncio della morte quando alla variabilità si sostituisce la ripetizione dell'identico.

Allora la ripetizione dell'identico sarebbe il segno che la causa non produce più l'effetto, il quale si produce da sé, indipendentemente da ogni controllo a monte.

Da ripensare meglio.

*

Il bel saggio, Probabilità, di Luigi Accardi, pubblicato su Matematica. Problemi e teoremi (Einaudi, Torino 2008, pp. 793-833), di cui consiglio la lettura a chi non teme i numerosi refusi, mi offre un suggerimento decisivo, buono per uscire dalle secche logocentriche del lacanismo e accedere al campo delle scienze dell'ignoranza, a cui la psicanalisi potrebbe appartenere.

Uno dei capisaldi del lacanismo è l'affermazione che la scienza fuorclude la verità. L'operazione, secondo i lacaniani doc, avvenne con Cartesio, che lasciò la verità nelle mani di dio e riservò al soggetto la certezza. In breve, a dio la verità, al soggetto il sapere.

Quel che al lacanismo sfugge è il cambiamento epocale dello statuto della verità in epoca scientifica. La verità resta protagonista del discorso scientifico, ma non più in vesti classiche. Si potrebbe applicare alla verità lo stesso motto di Cartesio Larvatus prodeo. Gli attori di questo discorso testimoniano in modo a volte doloroso, per non dire tragico, la metanoia della verità. Giordano Bruno, per aver inventato lo spazio affine, cioè senza origine delle coordinate, fu mandato al rogo. Galilei, per aver inventato i moti senza motore, fu processato e costretto ad abiurare. Cantor, per aver inventato dei numeri al di là dei numeri finiti, impazzì. Boltzmann, per aver congetturato l'aumento dell'entropia, ma non averlo saputo dimostrare all'interno dello schematismo millenario del determinismo, si suicidò. E' certo che il soggetto della scienza soffre per la conversione della verità congetturale da "più falso " a "meno falso".

La verità scientifica non è più ed esclusivamente la verità ontologica del dire di ciò che è, che è, e di ciò che non è, che non è. La verità scientifica, nascendo dal dubbio, si trasforma in verità epistemica. La verità scientifica è sapere, più o meno ben saputo, più o meno ben dimostrato, più o meno ben concettualizzato. Fondamentalmente,

la verità scientifica è congettura.

E rimane per lo più allo stato congetturale. Raramente succede, come pretendeva Popper, che una congettura scientifica sia completamente falsificata dai dati empirici (a loro volta sempre incerti, essendo affetti dall'errore sperimentale). Popper aveva in mente il modello della matematica, dove un falso teorema viene prima o poi falsificato da un controesempio. Ma nella scienza in generale normalmente una congettura genera altre congetture, non necessariamente più vere della congettura di partenza. Nel mio linguaggio, il soggetto che enuncia la congettura, quando gli va bene, passa da uno stato epistemico di maggiore a uno di minore falsità. Si può considerare fortunato se passa da uno stato di falsità x a uno stato di falsità y non superiore a x. La falsità, come orizzonte del dubbio cartesiano, resta una costante per così dire "ambientale" o "ecologica" del processo scientifico. Da qui la necessità e l'importanza, per trattare le nuove forme "false" di verità, di pensare una nuova logica meno ontologica e più epistemica, meno in bianco e nero e più sfumata. Alle soglie dell'epoca scientifica, nel XVII secolo, questa logica prese le vesti del calcolo delle probabilità - un calcolo coevo al calcolo infinitesimale, che vede in pratica gli stessi autori: Fermat, Bernoulli, Leibniz... i quali operarono su modelli estremamente semplificati di incertezza: i giochi d'azzardo. Oggi, su modelli più sofisticati, come i corsi caotici della finanzia o l'evoluzione delle specie della biologia, occorrono nuovi Fermat, nuovi Bernoulli, nuovi Leibniz per pensare il calcolo adeguato delle probabilità.

"A cosa corrisponde la probabilità? E' intuitivamente chiaro" - afferma Luigi Accardi nel saggio citato - "che la risposta a questa domanda conduce al legame naturale tra logica e calcolo delle probabilità, che interpreta il probabile come generalizzazione del vero (ivi, p. 802, leggermente modificata, corsivo dell'autore).

Faccio notare che questa concezione della probabilità si differenzia, in quanto più scientifica, da quella economica che considera la probabilità come prezzo. Scrive De Finetti: "La probabilità P(E) che Tu attribuisci a un evento E è il guadagno certo p [prezzo] che giudichi equivalente al guadagno unitario subordinato al verificarsi di E". (Teoria delle probabilità, vol. I, Einaudi, 1970, p. 92). La concezione aletica e la concezione economica (anche in versione geometrica come baricentro di una distribuzione di masse) rendono entrambe conto della variabilità delle stime individuali di probabilità, ma in modo diverso. Sono diverse le condizioni di coerenza. Nel caso economico la coerenza si riduce all'annullarsi del determinante di un certo sistema di equazioni lineari omogenee, nel caso aletico la coerenza è quella complessiva dell'algebra (in genere non dimostrabile in modo assoluto).

Naturalmente, poiché siamo in epoca moderna, per la concezione aletica c'è da aspettarsi una perdita di categoricità. In effetti, ci sono diversi calcoli probabilistici non equivalenti tra loro. Semplificando al massimo esistono almeno due classi di calcoli differenti: i calcoli kolmogoroviani e i calcoli non kolmogoroviani. I primi nascono e si sviluppano a partire dall'opera postuma di Jakob Bernoulli (1713)

Ars conjectandi (Wahrscheinlichkeitsrechnung, Art of conjecturing).

Un'evoluzione epistemica è rappresentata dal contributo di Thomas Bayes (1763), che trasforma la probabilità in plausibilità o grado di credenza (degrees of belief ). Vedi il

Saggio sulla soluzione di un problema nella dottrina del caso (Bayes Essay).

In breve si arriva ai grandi e ormai ben stabiliti teoremi limite (la legge bernoulliana dei grandi numeri e la legge di variabilità gaussiana).

Questi calcoli trattono un sapere probabilistico cumulativo, che si esprime attraverso invarianti statistici ottenuti per somma: tipicamente frequenze, medie, varianze, ecc. Ma esistono anche calcoli probabilistici non cumulativi, non kolmogoroviani, che si potrebbero chiamare sostitutivi o, come propone Accardi, intuizionisti. Sarebbero calcoli promettenti per trattare probabilità più "selvagge" o più caotiche di quelle che si incontrano lanciando un dado. Certamente sono calcoli più consoni di quelli classici alla fisica quantistica. Saranno anche consoni all'inconscio e alla sua tanto delicata quanto improbabile plausibilità? La proposta di probabilità (plausibilità) intuizionista, che fa decadere il principio di additività finita o di accumulo, è un passo in direzione di un'epistemologia non eziologica dell'inconscio. Forse potrebbe essere il secondo passo dopo il primo, rappresentato dalla logica epistemica intuizionista di tipo temporale proposta in questo sito. Perciò rimando alla pagina corrispondente e al saggio citato, avvertendo che si tratta di un programma di ricerca, interessante ma ai primi passi. Sono passi fuori dalle dottrine ricevute. Per seguirli ci vuole un po' di coraggio intellettuale e un po' di intelletto coraggioso. Chi mi darà notizia di alcuni invarianti statistici intuizionisti? Magari più prossimi al lapsus o al sogno che al chi quadrato di Pearson o all'analisi della varianza di Fisher?

Chi voglia assaggiare il calcolo intuizionista delle probabilità può leggere le cinque pagine che seguono, intitolate

La monetina intuizionista (aggiornata il 14 giugno 2009).

Altri che abbiano velleità teologiche, ma non temono di affrontare considerazioni scientifiche, possono consultare le tre paginee

Sulla scommessa di Pascal.

In proposito segnalo un punto, secondo me, assai istruttivo. La scommessa, al di là del fatto che si presenti spontaneamente nei giochi di azzardo, è una situazione soggettiva tutt'altro che frivola. E' la situazione paradigmatica in cui si trova ad operare il soggetto della scienza, il quale grazie al calcolo delle probabilità sa trasformare l'incertezza sul singolo risultato nella certezza media, calcolata su tutti i casi possibili. Chi gioca a testa e croce, puntando 1 euro a ogni partita, nella speranza di guadagnarne 2, se esce testa, è certo di perdere 1 euro, ma è anche certo di guadagnare 1 euro "in media" su un lungo periodo di lanci (long run), se la moneta non è truccata (gioco a somma zero). Il tema della transizione dall'incertezza alla certezza e viceversa è magistralmente ed esaurientemente trattato da un grande economista del secolo scorso, Milton Friedman, in collaborazione con un grande probabilista soggettivista, Leonard J. Savage, nel saggio

The utility analysis of choices involving risk ("J. Political Economy", vol. 56, n. 4. 1948, pp. 279-304).

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Digressione per psicanalisti.

Quanto c'entra il calcolo delle probabilità con la psicanalisi?

Probabilmente poco, almeno con la psicanalisi in versione freudiana. Freud, infatti, era affetto da una particolare patologia mentale: l'eziologismo rigidamente determinista. Spese pagine e pagine della Traumdeutung (1899) per dimostrare che la casualità non esiste - esiste tanto poco quanto la spontaneità. Sosteneva che il soggetto non possa dire un numero a caso e che, qualunque numero dica, lui sarebbe sempre in grado di trovare le cause psichiche (edipiche) che hanno determinato la scelta di quel numero. Naturalmente sono sciocchezze o, per meglio dire, sintomi della malattia eziologica.

Tuttavia, poco dopo la Traumdeutung, all'epoca della Psicopatologia della vita quotidiana (1901) Freud ebbe un momento di debolezza scientifica, indotto dalla corrispondenza con Bleuler, lo psichiatra di Zurigo, prima di Jung. Leggiamo in una nota alla p. 17 del IV volume delle Sigmund Freud gesammelte Werke:

"Diese kleine Analyse hat viel Aufmerksamkeit in der Literatur gefunden und lebhafte Diskussionen hervorgerufen. E. Bleuler hat gerade an ihr die Glaubwürdigkeit psychoanalytischer Deutungen mathematisch zu erfassen versucht und ist zum Schluß gelangt, daß sie mehr Wahrscheinlichkeitswert hat als Tausende von unangefochtenen medizinischen "Erkenntnissen" und daß sie ihre Sonderstellung nur dadurch bekommt, daß man noch nicht gewohnt ist, in der Wissenschaft mit psychologischen. Wahrscheinlichkeiten zu rechnen". (Das autistisch-undisziplinierte Denken in der Medizin und seine Überwindung, Berlin, 1919).

"Questa piccola analisi - il caso dell'aliquis, probabilmente il caso di Freud stesso, che aveva messo incinta la cognata - ha ricevuto molta attenzione nella letteratura, suscitando accese discussioni. E. Bleuler ha provato a dimostrare matematicamente l'attendibilità delle spiegazioni psicanalitiche. E' arrivato a concludere che esse sono più probabili di migliaia di incontestate "conoscenze" mediche e che la loro particolarità consiste solo nella mancanza di abitudine nella scienza a calcolare le probabilità psicologiche".

L'affermazione di Freud è storicamente falsa. Nel 1753 il reverendo Thomas Bayes scrive un saggio, pubblicato postumo, sulle probabilità soggettive (degrees of belief), che sono tuttora di applicazione comune - per lo meno a partire dai lavori di Laplace del 1814 e di de Finetti e Savage del 1930. Tuttavia, la debolezza freudiana (sessuale, oltre che scientifica?) lascia intravedere uno spiraglio attraverso cui si possa sperare di accedere a una psicanalisi scientifica e non rigidamente eziologica né tanto meno eziologica (o medica o psicoterapica) .

Nota per i non amanti della psicoterapia. Il mio amico di Berlino Claus-Dieter Rath ha fatto ricerche presso la Freie Universität e ha trovato la riedizione del 1962 del testo di Bleuler citato da Freud ben due volte (GW, vol. IV, pp. 17 e 280). La tesi è strepitosa:

Medicina = autismo.

Quale editore italiano avrà il coraggio di fare tradurre e pubblicare il testo di Bleuler? Potrebbe solo chi abbia un'intima conoscenza della medicina, intesa come falsa scienza. Lo psicoterapeuta, che scimmiotta il medico perché lo invidia, non arriverà mai a riconoscere il carattere autistico della propria pratica. Alla pagina

Perché la medicina non è scientifica?

argomento in modo meno psichiatrico e più generale di Bleuler. La medicina non è scientifica, in particolare è autistica, perché è un discorso senza oggetto, come la filosofia.

Bisogna, da ultimo, riconoscere che lo stesso Freud non seppe tagliare i ponti con l'autismo medico, tanto è vero che per il suo inconscio – la sua vera e unica invenzione scientifica – costruì una metapsicologia ricalcata sul modello eziopatogenetico della nosologia medica, dove al posto degli agenti patogeni figurano le pulsioni del sesso e della morte.

Passando a discorsi meno polemici, segnalo e raccomando l'ultima fatica del mio amico Giampaolo Lai, che ha pubblicato un libro dal titolo poco serio

L'eternità sulla Piazza del Mercato. Bilateral verbal trade (Vita e Pensiero, Milano 2011),

ma dall'argomento molto serio: la possibilità di reinterpretare l'interazione psicanalitica in termini economici, non solo metaforici, come infelicemente ha tentato di fare Freud, ma di effettiva teoria economica con buyer (l'analizzante) e seller (l'analista) in carne e ossa. Ovviamente si tratta di un'economia dell'incertezza, dove la nozione di probabilità è centrale. La lettura è anche leggera, perché l'autore sa trattare con rigore e chiarezza, ma anche con garbo, argomenti che hanno affaticato i migliori pensatori dal XVII secolo in poi. Aggiungo, con coraggio. E' il raro coraggio, quello di Lai, di chi si cimenta in un'impresa oggi impopolare, per non dire ostacolata dalla lobby psicanalitica: la riformulazione scientifica della teoria psicanalitica. Lai con coraggio si espone alle confutazioni, che ogni teoria scientifica deve ricevere. Non punta sul risultato sicuro dell'elaborazione dottrinaria, da affidare alla ruminazione catechistica degli ortodossi – di qualunque ortodossia siano praticanti. Lai rischia. I risultati li vedremo sul long run.

Ho parlato del libro di Lai alle Stelline di Milano il giorno 11 giugno 2011 in una presentazione dal titolo

Il coraggio della scienza.

A questo punto rimando alla pagina sulle scienze dell'ignoranza, di cui il calcolo delle probabilità è l'esponente tuttora meglio accreditato.

(Torna a inizio pagina).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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